La memoria di Elvira by La memoria di Elvira

La memoria di Elvira by La memoria di Elvira

autore:La memoria di Elvira
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2015-05-14T16:00:00+00:00


Luisa Adorno

Elvira con me

La voce la ricordo soprattutto al telefono.

Foriera di gioia, sempre. La prima volta mi chiamò per dirmi che aveva letto L’ultima provincia. Rideva e «Terremoto è...» citava la calma con cui mio suocero commentava i sussulti dell’amata casa sul vulcano. «Ma non sempre mettiamo i verbi in fondo...» ammoniva, allegra, la mia toscanità. «Sono felice di pubblicarlo!».

Glielo aveva portato Sciascia, lo sapevo, ché lo avevo incontrato a Roma a una mostra di Bruno Caruso. «Lei non mi conosce, ma molti anni fa mi scrisse una generosa lettera per un mio piccolo libro». Quando ne seppe il titolo s’illuminò: «Ma io la cercavo per ripubblicarlo! Lo pseudonimo m’impediva di rintracciarla».

Qualcosa si era acceso anche dentro di me. Non avevo mai pensato a quella possibilità, nonostante il successo inatteso della prima edizione, nel ’62. Si erano mossi un po’ tutti, a scriverne, a parlarne, i «nomi» di allora. La Banti gli fece avere un premio della cui giuria faceva parte anche Longhi, la Morante e la Ginzburg mi vollero conoscere, Giovanni Macchia e la moglie ne furono lettori appassionati, così Irene Brin e Del Corso, Sciascia, appunto, mi aveva scritto quella lettera. E l’editore cosa fece? Tolse dalla circolazione le ultime copie e le inserì nella collana di opere prime da regalare a chi comprava un’enciclopedia. Più di dieci anni mi legava il contratto, ma mi accinsi tranquilla a farli passare scrivendo un altro libro e prendendo l’abitudine di fermare, sull’agendina tascabile, con una sola parola, un momento, un gesto, un’espressione da non dimenticare, perché ormai mi era chiaro che avrei scritto soltanto la vita. Ma quando cominciai ad aspettare risposte al secondo libro, mai arrivate, mi resi conto che il primo era stato dimenticato.

Di persona, Elvira, la conobbi a primavera, nell’83 a Palermo dove avevo seguito con slancio mio marito, invitato al convegno su Borgese. Appena la decenza me lo permise lasciai l’aula e mi avviai a piedi verso la casa editrice.

Entrare e trovarmi davanti una finestra alta e stretta, coperta da tendine di lino stirate piatte, percorse nel senso della lunghezza da un tramezzo di vecchio merletto, a fare da sfondo a un tavolo antico con sopra poche edizioni preziose, fu già come incontrare lei, presto apparsa sulla soglia dello studio.

Una figura snella, vestita di scuro, il bel volto scoperto, i capelli bruni raccolti in un’unica voluta.

«Le ho preparato la prima copia con la copertina non ancora incollata...» sorrise, porgendomela, «andrà benissimo! E non solo perché io l’ho goduto come siciliana e figlia di prefetto...».

«Figlia di prefetto?!» stupii. «Chissà quante cose ci avrà ritrovato!». «Tante!». Passammo subito al tu e dal tu a quella sorta di affiatamento, di confidenza, di linguaggio comune che avrebbe caratterizzato per sempre il nostro rapporto, nonostante gli anni che avevo di più.

Mi volle a cena «col figlio di prefetto!» scherzò.

Cena di cui ho ricordo come di un bene non goduto, ché il convegno, trasportato per il pranzo al paese natio di Borgese, permise di alzarsi da tavola, se non ebbri satolli, dopo le quattro del pomeriggio.



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